Negli articoli precedenti abbiamo parlato della simbologia di alcune Sante, adesso mi sembra interessante, poter parlare non solo di simbologia sacra ma anche di simbologia legata alla mitologia. Tutti sappiamo come gli dei della mitologia greca sono nati grazie al testo intitolato Teogonia, ovvero l’origine degli dei.

La leggenda narra che prima dell’universo c’era Caos uno stato di cieca confusione.  Al di fuori del Caos emerse Gaia, la terra, accompagnata da altre divinità primordiali perciò l’universo iniziò a risolversi. Gaia dette vita ad Urano (il cielo),  Lo stesso Urano si accoppiò con la madre Gaia e produssero i Titani la prima  Razza degli dei. Iniziarono perciò a crearsi dei disaccordi all’interno della famiglia, come ci spiega la Teogonia, Gaia persuase suo figlio Kronos (Crono) a castrare il suo stesso padre con una gigantesca falce.  Crono gettò i testicoli di Urano in mare e da questo gesto nacque Afrodite, dea dell’amore. Nel frattempo il sangue di Urano si mescolò con la terra e da lì si creò la razza dei giganti. 

Crono divenne il sovrano dei Titani, ma temendo che i suoi figli gli avrebbero inflitto violenza, castrazione o peggio, li ingoiò tutti non appena sua moglie, Rea, partorì. Rea riuscì a nascondere e proteggere un bambino, Zeus, cresciuto a Creta. Ritornato sotto mentite spoglie di coppiere, Zeus diede al padre una miscela di senape e vino, facendogli vomitare i suoi figli. Zeus e i suoi fratelli vomitati si ribellarono al padre, dando vita a una guerra celeste durata un decennio, nota come Titanomachia (Battaglia dei Titani). Zeus fu vittorioso e gettò Crono e gli altri Titani nel Tartaro, la prigione degli Inferi. Un altro dei Titani, Atlante, fu punito con l’obbligo di reggere il cielo per l’eternità.

Ora un nuovo pantheon di dei e dee dominava e risiedevano sul Monte Olimpo sotto il dominio di Zeus. Presto scoppiò una nuova lotta tra gli Dei dell’Olimpo e i giganti, un’altra razza nata da Urano e Gaia, che vide nuovamente trionfanti Zeus e gli Olimpi. Molti dei giganti furono puniti con la sepoltura sotto le isole, dove continuarono a creare problemi ai mortali per mezzo di terremoti ed eruzioni.

I miti della creazione che circondano gli dei greci sono, ovviamente, storie per dare un senso al mondo naturale, dal cambio delle stagioni ai capricci del meteo. Secondo un racconto, il Titano Prometeo che era riuscito a sopravvivere alla battaglia intergenerazionale con Zeus e i suoi fratelli creò il primo uomo modellandolo dal fango bagnato, a immagine degli dei. Ne seguì un’Età dell’Oro, in cui uomini e dei si spartirono il mondo. Ma Prometeo in seguito divenne una spina nel fianco di Zeus, sfidando i desideri del patriarca divino dando all’uomo il dono del fuoco. Per rappresaglia, Zeus ordinò la creazione della prima donna, Pandora (il nome significa “tutti i doni”), come un “male meraviglioso” per l’umanità. Tutti gli dei si unirono nel dare a Pandora attributi e talenti seducenti: Atena le diede le capacità di tessere e ricamare e Afrodite le donò la bellezza; Hermes le diede il potere della parola, ma allo stesso tempo una natura ingannevole e bugiarda. Come Eva nella tradizione cristiana, fu responsabile dei mali del mondo. Fu consegnata allo sciocco fratello di Prometeo, Epimeteo, come sposa e portò con sé un barattolo. Nonostante gli avvertimenti, la sua curiosità ebbe la meglio e lo aprì, spargendo morte, malattie e discordia in tutto il mondo e distruggendo l’Età dell’Oro in un istante. Come punizione eterna, Prometeo fu incatenato a una roccia nel Caucaso, dove un’aquila si nutriva quotidianamente del suo fegato.

Simbolismo di Kronos e la sua rappresentazione nelle arti

Kronos (o Crono) è una figura complessa nella mitologia greca, spesso rappresentato con attributi simbolici che ne sottolineano la natura di dio del tempo e padre degli dei dell’Olimpo. In pittura e scultura, è possibile riconoscerlo attraverso alcuni elementi: la clessidra, ad esempio, simboleggia il tempo che scorre inesorabile e la sua inevitabilità. In molte rappresentazioni più tarde, legate anche alla figura di “Padre Tempo,” Kronos viene mostrato con una clessidra per enfatizzare la sua associazione con il passare del tempo. La Falce o falcetto, è il suo simbolo principale, che ricorda il mito in cui Kronos usa una falce per evirare il padre Urano e prendere il potere. Questo atto lo caratterizza come una divinità legata al destino e alla violenza del tempo, ma anche come colui che porta cambiamento e transizione. Kronos è spesso rappresentato come un uomo anziano, a volte con barba lunga e capelli bianchi, a sottolineare l’antichità e la saggezza del tempo. La barba folta è comune, in quanto rimanda a una figura patriarcale e antica, simile a come verrà rappresentato in seguito “Padre Tempo”. Saturno è famoso per la sua paura di essere detronizzato dai propri figli, perciò li divora uno ad uno alla nascita spesso viene rappresentato come una figura con un atteggiamento inquieto e consumato. Questo tema è rappresentato in alcune opere   come il famoso quadro di Francisco Goya, Saturno che divora i suoi figli. Sebbene questo sia un dipinto più tardo (e rappresenti Saturno, la versione romana di Crono), questo tratto inquietante è emblematico e sottolinea la sua natura implacabile e il suo legame col tempo che consuma. Ci sono poi altri elementi figurativi che accompagnano questa figura come le ali simbolo della velocità del tempo e del fatto che scorre senza possibilità di arresto.

Kronos è spesso rappresentato in pose imponenti e solenni, a volte con un’espressione seria o minacciosa, per sottolineare la sua autorità e la sua natura incombente. In alcuni casi, potrebbe essere accompagnato da figure infantili, simboli dei figli divorati.

Nella scultura classica, la rappresentazione di Kronos è più rara, e gli attributi come la falce possono anche essere condivisi con altre figure, come i mietitori o divinità agricole. Mentre con la pittura rinascimentale e moderna la figura di Kronos come personificazione del tempo appare spesso nella pittura europea post-classica, come in opere allegoriche in cui è raffigurato con clessidra e falce.

In sintesi, Kronos è riconoscibile per la falce, la clessidra, la figura anziana barbuta, e talvolta un’atmosfera minacciosa, connessa alla sua leggenda di divoratore dei figli e custode inesorabile del tempo.

Vasari, Rubens, Goya e Noguchi

Diversi artisti, specialmente tra il Rinascimento e l’epoca moderna, hanno raffigurato Crono (o la sua controparte romana Saturno) con grande intensità, enfatizzando temi di tempo, mortalità e spesso orrore. Ecco alcuni dei più noti:

La mutilazione di Urano da parte di Saturno (Crono per i greci) in una pittura di Vasari e Gerardi, sedicesimo secolo, Palazzo Vecchio, Firenze

Giorgio Vasari e Cristofano Gherardi con l’affresco “La mutilazione di Urano da parte di Saturno” del 1556 situato in Palazzo vecchio a Firenze affrontano il tema della castrazione che è un soggetto poco comune nell’arte, ma è il fulcro di questo pannello dipinto sul soffitto che deriva dai miti classici che descrivono l’origine dell’universo. Sotto l’influenza di sua madre Gaia, dea della terra, Saturno usa una lunga falce per mutilare i genitali di suo padre, Urano. Urano, dio del cielo, detestava i suoi figli e li gettò uno a uno negli Inferi non appena nacquero. Nel tentativo di rompere il ciclo, Gaia ordinò al figlio più giovane, Saturno, di castrare suo padre. Giorgio Vasari (1511-74), assistito da Gherardi Cristofano (1508-56), fu incaricato di dipingere questo pannello come parte della decorazione della Stanza degli Elementi a Palazzo Vecchio, Firenze. Il dipinto occupa lo spazio centrale nel soffitto, con i dipinti di Vasari che rappresentano ciascuno dei quattro elementi naturali (terra, aria, fuoco e acqua) sulle pareti circostanti. In questo pannello centrale, Urano è sdraiato su un letto di nuvole, apparentemente sottomesso al processo. Dietro i personaggi principali, un’enorme sfera armillare simboleggia l’universo. Il trattamento stranamente calmo di questa narrazione violenta suggerisce che l’azione era necessaria per ripristinare l’ordine nell’universo, come sottolineato nelle fonti classiche a cui Vasari si sarebbe rivolto.

Rubens, Saturno che divora suo figlio, 1636-38, olio su tela, museo del Prado, Madrid

Il dipinto “Saturno che divora suo figlio” di Peter Paul Rubens (1636-1638) è una rappresentazione drammatica e intensa del mito di Saturno (Crono) che mangia uno dei suoi figli per evitare di essere detronizzato, come aveva previsto una profezia. Questa scena cruenta è caratterizzata da alcuni dettagli tipici dello stile di Rubens, che rendono l’immagine particolarmente viva e angosciante. Nel dipinto, Saturno è raffigurato in un atto di feroce violenza: con il corpo proteso in avanti, stringe tra le mani il corpo di un bambino già parzialmente divorato. La sua figura è imponente e muscolosa, tipica delle raffigurazioni classiche di divinità possenti, ma qui il suo volto è contorto in un’espressione di crudeltà e determinazione, rendendo la scena ancora più terrificante. È rappresentato con una folta barba grigia e capelli ricci disordinati, che lo fanno apparire anziano e selvaggio. I suoi occhi sono spalancati e fissano la sua vittima con uno sguardo rapace e feroce, quasi come se fosse colto da una furia incontrollabile. La bocca è aperta e affonda nei resti del bambino, mentre le mani lo trattengono con forza brutale.

Rubens usa una tavolozza di colori scuri e terreni, dominata da toni di marrone, rosso e nero, che contribuisce a creare un’atmosfera cupa e inquietante. Il contrasto tra le ombre profonde e la luce che illumina il corpo del bambino sottolinea il dramma della scena. La carne del bambino è pallida, quasi cerulea, e spicca per il suo tono freddo rispetto ai colori caldi e rossastri del corpo di Saturno, enfatizzando la differenza tra la vittima innocente e l’aggressore spietato. La composizione è dinamica, drammatica e piena di tensione. Saturno è raffigurato in una posa quasi in movimento, come se fosse appena stato colto nell’atto violento e terribile. Il dinamismo della scena è accentuato dalla postura contorta di Saturno e dalle linee curve che guidano l’occhio dell’osservatore dal volto feroce del dio fino alla vittima nelle sue mani. L’opera rappresenta in modo esplicito la violenza e il terrore insiti nel mito di Saturno, ma è anche una potente allegoria del tempo che consuma tutte le cose. Saturno, dio del tempo, è visto come una forza inesorabile e crudele che distrugge tutto ciò che crea.

Rispetto alla versione più brutale e selvaggia dipinta da Francisco Goya, quella di Rubens è meno raccapricciante ma comunque drammatica e potente. Il suo stile barocco, caratterizzato da ricchezza di dettagli, energia e potenza visiva, rende l’opera affascinante e orribile allo stesso tempo, catturando perfettamente la tensione tra bellezza e crudeltà.

Goya, Saturno che divora suo figlio, 1820-23, olio e tecnica mista su tela, museo del Prado Madrid

Nel 1819, Francisco de Goya (1746-1828) acquistò una casa, la Quinta del Sordo, alla periferia di Madrid, dove quell’inverno soffrì di una malattia quasi mortale. Durante la convalescenza, iniziò a lavorare a un nuovo progetto per “occupare la mia immaginazione”. Iniziato nel 1820, questo progetto consisteva in una serie di potenti affreschi, i cosiddetti “dipinti neri”, che dipinse sui muri della sua casa nei tre anni successivi. Tra questi c’era questa immagine orticola di Saturno che divora uno dei suoi figli. Nessuno sa perché Goya scelse questo soggetto o quale rima o ragione si nascondesse dietro le immagini dei quattordici affreschi, che non hanno alcun tema unificante apparente. Ciò che si sa, tuttavia, è che Goya stava anche lavorando a una serie di incisioni che affrontavano le follie umane, Los Disparates, le cui scene inquietantemente enigmatiche, piene di oscurità e demoni, sono strettamente correlate agli affreschi per umore e impatto. Vivendo nella Spagna conservatrice, piena di repressione, superstizione e fanatismo religioso, Goya ha combattuto contro questi mali per tutta la vita. Los Disparates e gli incubi dei “dipinti neri” sembrano essere ulteriori proteste, ma il loro significato è oscuro. Per quanto infernale, Saturno potrebbe essere la personificazione dell’ignoranza e della disumanità, ma potrebbe anche essere un simbolo di Saturno come dio del Tempo, che alla fine ci divora tutti.

Il dipinto “Saturno che divora i suoi figli”(1819-1823) è una delle opere più inquietanti e potenti dell’artista spagnolo. Questa rappresentazione del mito di Saturno è un’immagine angosciante e brutale che esplora temi di follia, distruzione e il lato oscuro della natura umana. Goya riesce a creare una delle immagini più terrificanti della storia dell’arte, un dipinto che va oltre la rappresentazione mitologica per esplorare le profondità della psiche umana e il terrore della mortalità. È un’opera che lascia un’impressione duratura, caratterizzata da una brutalità senza filtri e da una rappresentazione viscerale del tempo e della follia.

Crono è rappresentato come una figura mostruosa e deformata, in un momento di terribile frenesia: è dipinto mentre divora il corpo di uno dei suoi figli, con le mani che stringono e schiacciano la carne della vittima. Il corpo del figlio è già parzialmente divorato: le braccia sono state strappate, lasciando il busto mutilato e insanguinato. La carne bianca e pallida del figlio contrasta fortemente con le mani e la bocca di Saturno, macchiate di rosso dal sangue.

Saturno appare spaventoso: è raffigurato come un uomo anziano, con una barba lunga e disordinata, capelli bianchi e arruffati, e occhi spalancati che esprimono pura follia e terrore. Il suo volto è contorto in un’espressione di rabbia e paura, come se fosse spinto da una forza incontrollabile. I suoi occhi, sbarrati e fuori misura, fissano il vuoto con uno sguardo febbrile, quasi paranoico, che rende la scena ancora più inquietante. L’intera composizione è dominata da colori scuri, con uno sfondo nero e indistinto che avvolge la figura di Saturno e fa risaltare il suo corpo e quello della vittima. Sono utilizzati 3 colori: il bianco del corpo del figlio, il nero dell’ombra circostante e il rosso vivo del sangue. Questo contrasto accentua la brutalità della scena e crea un senso di isolamento e disperazione, inoltre la mancanza di dettagli nello sfondo amplifica il focus sulla figura centrale e l’orrore della scena, facendo emergere Saturno dal buio come una creatura che appare direttamente dall’oscurità della psiche umana. Nel complesso la composizione è estremamente semplice ma di una potenza disarmante: Saturno è al centro, e il suo corpo è piegato in una postura innaturale, quasi animalesca. La sua forma ingobbita e contorta riflette la bestialità dell’atto che sta compiendo. La pennellata è grezza e ruvida, come se Goya avesse dipinto di getto, quasi con urgenza, creando un’immagine viscerale e spaventosa.

Il Saturno di Goya è una figura senza controllo, quasi animalesca, che sembra agire per puro istinto.

Isamu Noguchi, Cronos, 1947, bronzo e cavi di acciaio, Museo di arte Moderna di San Francisco

Nell’età contemporanea Isamu Noguchi rappresenta Cronos: è una scultura astratta che riflette la visione modernista dell’artista giapponese-americano sul concetto di tempo e sulle forze naturali. Realizzata nel 1947, l’opera è un pezzo che rielabora in modo innovativo e minimalista il mito di Crono, rappresentando il tempo come una forza misteriosa e inarrestabile. Originariamente realizzò la sua meditazione surrealista sulla storia del cannibale Titano Crono in legno di balsa, fondendola poi in bronzo. Questo materiale dà alla scultura una sensazione di pesantezza e permanenza, ma la forma fluida e la composizione aperta evocano leggerezza e movimento. Questo contrasto tra materiali durevoli e forme eteree è caratteristico di Noguchi, che spesso cercava di creare opere che unissero concetti opposti come pesantezza e leggerezza, stabilità e cambiamento. Evitando una descrizione letterale della storia di Crono, che mangiò i suoi stessi figli dopo che una profezia aveva previsto che uno di loro lo avrebbe usurpato, Noguchi usa invece forme organiche per alludere al mito. Una forma verticale ad arco poggia sul terreno, la sua posizione eretta e la forma bipede ricordano una figura umanoide. Al suo interno pende un cavo, da cui sono sospesi oggetti più piccoli. Sebbene astratti, questi elementi suggeriscono anche frammenti biologici: ossa, corna, intestini o arti. Il loro contenimento all’interno della forma più grande sembra alludere all’inghiottimento della sua prole da parte di Crono. Anche le forme più piccole sembrano disordinatamente vincolate, e sembrano spingersi e scuotersi a vicenda, come se lottassero per lo spazio. L’elemento cinetico della scultura consente a quella scomoda compressione di prendere vita, mentre il movimento del vento e dei corpi dei visitatori della galleria fa sì che le forme più piccole girino e oscillino. Come molti artisti del dopoguerra, Noguchi ha cercato ispirazione nella mitologia antica, in parte come mezzo per trovare un significato in un mondo che si stava solo gradualmente riprendendo dal trauma della guerra

Questi artisti hanno esplorato le molteplici sfaccettature di Crono, dal suo aspetto di dio oscuro e crudele al suo ruolo simbolico legato alla natura del tempo e alla mortalità. La figura di Crono/Saturno è stata un potente simbolo sia per rappresentazioni più classiche che per interpretazioni moderniste e surreali.

Giulia Bertuccelli

Storica dell’arte laureata all’Università di Pisa. Affianca per un anno una ditta privata di restauro (tirocinio- Ditta Restauro Garosi, Firenze) poi si forma professionalmente come assistente di galleria, trasferendosi in un secondo momento a Barcellona e lavorando per Espronceda Institute of Art and Culture. Fondatrice del blog Mag Arte, sogna l'estinzione dell' ignoranza. Ama leggere disegnare e scrivere poesie. Ha un forte senso del dovrei e dimostra meno danni di quelli che ha.

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