Quando avrai posseduto questi alberi della vita solitaria, subito arriverai alla perfezione dell’amore.
Liber Eremitice Regule del Priore del S. Eremo Rodolfo, XLVII, 1
Queste parole sono scolpite sull’esterno della “Porta Speciosa” (Porta Bella), il portale bronzeo commissionato nel 2013 a Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943) dai monaci del Sacro Eremo di Camaldoli (Arezzo) per festeggiare il millenario della fondazione della propria comunità.
Una “porta filosofica”, come l’ha definita l’artista, intrisa di spirito monastico ed eremitico, che introduce, e insieme custodisce, l’ingresso al Sacro Eremo e narra a coloro che l’ammirano l’intensa spiritualità che si respira in questo monastero millenario.
Visto dall’esterno il portale è solenne e austero.
Nel battente di sinistra tutto richiama la morte: l’albero, il cranio del caprone, il teschio, la pietra cimiteriale. In realtà vi sono numerosi simboli di speranza.
Il gufo rappresenta il monaco che veglia solitario nella notte fra le rovine del mondo, in attesa di un oltre.
La pietra, dall’apparenza funerea, in realtà parla d’Amore: essa difatti schiacciando le corna del caprone (ovvero il diavolo, colui che divide) simboleggia il Bene che sconfigge il Male. Proprio su questa pietra è inciso il motto che invita ad accogliere le virtù e gli insegnamenti degli alberi che circondano l’Eremo.
Il teschio, tema molto caro nella tradizione monastica, evoca sì la morte ma intesa come un passaggio atteso con gioia in quanto ricongiungimento con il Signore.
Se il lato sinistro risulta più lugubre ed enigmatico, il battente di destra inneggia chiaramente alla Vita.
L’albero difatti è vivo e forte seppur privo di foglie. La versione invernale rimanda alla nudità della vita solitaria dei monaci, così come la campana appesa, chiaro richiamo all’eremitismo.
Ai piedi dell’albero un uovo, anch’esso simbolo di vita e di rinascita.
Sul lato interno del portale vi sono sei formelle come pagine di un libro aperto sulle quali vi sono impresse le virtù della vita solitaria legate a sette alberi. Le parole sono scritte con caratteri d’oro di piccole dimensioni, poiché le virtù vanno sussurrate, non imposte.
Anche questi versi sono tratti dal Liber Eremitice Regule (Biblioteca della città di Arezzo, cod. 333, sec XI)scritto nel 1080 da Rodolfo, quarto Priore dell’Eremo, che codifica per la prima volta le consuetudini di vita della comunità dichiarando il rapporto di sintonia che lega i monaci alla foresta casentinese, fino a registrare la loro “identificazione” con gli alberi.
Fin dal suo sorgere, attorno al 1024, la comunità monastica di Camaldoli, stabilì un rapporto vitale con l’ambiente naturale, tanto da eleggere la foresta che circonda l’eremo a simbolo e custode della vita monastica.
Non a caso Parmiggiani sceglie alcuni dei versi più belli e significativi del Liber Eremitice Regule, ovvero la parte in cui il Priore Rodolfo canta i sette alberi elencati nel libro di Isaia quali segno della fertilità della terra rifondata da Dio (Is 41,19) e, contemplandone le proprietà, indica quelle virtù che ogni monaco deve possedere giungendo ad affermare che ogni monaco deve diventare quegli alberi!
Tu dunque sarai cedro per nobiltà di sincerità e santità, acacia per puntura di correzione e di penitenza, mirto per discrezione di sobrietà e temperanza, olivo per gioia di pace e di misericordia, abete per altezza di meditazione e di sapienza, olmo per opera di sostegno e pazienza, bosso per modello di umiltà e perseveranza
Liber Eremitice Regule del Priore del S. Eremo Rodolfo, XLVI,21
Sopra il portone il passero solitario: ovvero il monaco eremita che apprende tali virtù, le pratica e le trascende.
Un’opera struggente dove nel dramma dell’esistenza mortale fa breccia la Vita, l’Amore, la Speranza. Dove la Natura viene riconosciuta come maestra virtuosa dalla quale imparare.