Saul Steinberg (1914-1999) è stato un celebre disegnatore, illustratore e caricaturista rumeno naturalizzato statunitense, noto soprattutto per le sue opere che hanno influenzato il mondo dell’arte, della grafica e del design.
Il disegno è la mia essenza stessa, il mio fatto cartesiano. Io disegno, dunque esisto. Anche fisicamente non esisterei se io non disegnassi… Sono una mano che disegna, e mi basta.
Saul Steinberg, 1967
I disegni di Saul Steinberg non sono soltanto dei capolavori di spirito e ingegnosità ma costituiscono una critica dolce amara della vita quotidiana.
Saul Steinberg, rumeno di origine ebraica, ha vissuto per un periodo in Italia dove, nel 1940, si laurea in architettura al Regio Politecnico di Milano poco prima di fuggire negli Stati Uniti sotto le pressioni delle leggi razziali.
Steinberg a New York
L’approdo a New York, nel 1941, segnerà una svolta decisiva nella sua carriera. Qui inizia a collaborare con importanti riviste per le quali realizza vignette e copertine: da “The New Yorker”, ad “Harpeer’s Bazaar”, “Life” ed “Encounter, Steinberg disegna pagine che passeranno alla storia grazie al suo segno inconfondibile e all’umorismo pungente.
La gente, quando vede un disegno sul New Yorker penserà automaticamente che fa ridere perché è un cartoon. Se lo vedono in un museo, penseranno che è artistico e se lo troveranno in un biscotto della Fortuna penseranno che è una predizione
Steinberg non ha mai smesso di sperimentare e negli anni ha dato vita ad un imponente corpus: ai numerosi disegni a matita dal tratto semplice ed essenziale, si aggiungono pastelli, timbri, acquerelli, fotografie e una serie di oggetti-scultura, come le maschere di carta, realizzate anche con stoffe e collages.
Il disegno resta il suo linguaggio preferito
Tuttavia il disegno resta il suo linguaggio preferito:
«Il disegno come esperienza e occupazione letteraria mi libera dal bisogno di parlare e di scrivere. Lo scrivere è un mestiere talmente orribile, talmente difficile… Anche la pittura e la scultura sono altrettanto difficili e complicate e per me sarebbero una perdita di tempo. C’è nella pittura e nella scultura un compiacimento, un narcisismo, un modo di perdere tempo attraverso un piacere che evita la vera essenza delle cose, l’idea pura; mentre il disegno è la più rigorosa, la meno narcisistica delle espressioni».
I suoi disegni si caratterizzano per linee pulite fatte a pennino, immediatamente riconoscibili. Talvolta il tratteggio si fa arzigogolato e frenetico, ma è sempre pulito. Ogni segno grafico, dai ballon, ai segni tipografici e ortografici acquistano un significato profondo.
«Cerco di usare un alfabeto molto povero di segni per esprimere idee che possono essere molto complesse e complicate, per questo il disegno è molto vicino alla poesia che usa parole molto semplici per spiegare cose molto complesse».
I suoi personaggi sono maschere, figure archetipe. Non rappresenta un singolo, ma un vizio, la società e la storia. Pensiamo alla donna americana ossessionata dalla necessità di truccarsi, ossia di esibire una “maschera” per nascondere l’età che avanza, perché come racconta durante un’intervista:
«Il peccato più grosso che si possa commettere in America è dare segno di infelicità e di malattia allora si ricorre al travestimento, è una cosa indecente, antisociale quella di lamentarsi, di dire cosa va male […] se vuoi farti ascoltare devi dire che stai benissimo».
Saul Steinberg e l’intervista con la maschera
Durante l’intervista condotta da Sergio Zavoli (Saul Steinberg. L’essenza totemica, 1967) Steinberg compie una azione che ben rappresenta la sua verve acuta e originale, ovvero crea una delle sue famose maschere e la indossa facendo uscire solo il naso da un foro, dimostrando come tale organo caratterizzi in modo così preponderante la fisiognomica del suo volto:
«Io credo che il naso, sia la parte del nostro corpo più primitiva, più originale e privata, gli occhi e la bocca sono già, come dire, elementi politici della faccia, mentre il naso è rimasto un po’ l’antenato della faccia, è la parte meno evoluta».
Al contempo, continua l’artista, “è il naso che ci rende complici di noi stessi. La misura dell’uomo è il suo naso, è un po’ quello che ci distingue”.
Alla domanda sul significato delle maschere, Saul Steinberg risponde:
“Questa è la maschera che mi protegge dagli altri. Infatti con questa maschera io potrei parlare alla maniera più libera e divento in un modo completamente diverso. Proviamo a tornare indietro e rifacciamo da capo con la maschera. Vuole scommettere che dirò il contrario di quello che ho detto”.
Secondo Sergio Zavoli, le maschere di Steinberg costituiscono:
“l’ultimo paradosso di un moralista. La maschera non come fuga ma come emblema di ipocrisia e forse strumento di salvezza. Nella società della solitudine Steinberg l’ha detto […] a chi nascondersi? Forse agli unici testimoni della nostra ambiguità? cioè a noi stessi”.