L’opera fu commissionata dallo “spedalingo”, Leonardo Buonafede, il rettore dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, nel gennaio 1518.
Secondo le volontà testamentarie di Francesca de Ripoi, l’opera era destinata all’altare della chiesa di Ognissanti.
Nel giugno dello stesso anno era prevista la consegna e la cifra pattuita era 25 fiorini d’oro larghi.
Vasari ci narra di un incidente in corso d’opera, lo Spedalingo vedendo la tavola abbozzata rimase completamente deluso e costernato: i Santi sembrassero piuttosto “diavoli”, deluso “fuggì di casa e non volle la tavola, dicendo che lo aveva giuntato [cioè preso in giro]”. Lo stesso Vasari ritiene necessario chiarire, che era consuetudine dell’artista, nella fase di una prima stesura, enfatizzare le espressioni rendendole “crudeli e disperate” addolcendole ponderante la stesura.
La controversia venne arginata grazie all’arbitrio di Francesco Granacci e Giuliano Bugiardini, si risolse con il decurtamento del compenso di nove fiorini. Nonostante il raggiunto compromesso la pala non non raggiunse mai la cappella della Chiesa di Ognissanti, dove era originariamente destinata; lo Spedalingo decise di inviarla in una chiesetta di proprietà dell’ospedale, dedicata a Santo Stefano, tra le montagne del Mugello. Ridolfo del Ghirlandaio, in quell’occasione, eseguì una nuova cornice.
Il dipinto raffigura una Sacra Conversazione, la Madonna con il Bambino è circondata da Santi: da sinistra san Giovanni Battista, sant’Antonio abate, santo Stefano e san Girolamo. Vengono introdotti molti elementi innovativi, primo fra tutti è l’eliminazione di ogni forma gerarchica fra la Vergine e i Santi: la Madonna non è posta in alto in una posizione dominante, ma al pari dei Santi, inserita al centro del gruppo, le figure sono compresse in uno spazio ristretto, senza architettura o paesaggio.
I rilievi di Donatello nei pulpiti della Passione e della Resurrezione in San Lorenzo lo ispirarono per la creazione degli effetti spigolosi e scabri della creazione dei Santi, che hanno i volti incupiti, ombreggiature profonde e scavate nelle carni, con sguardi pensierosi e pregni di interrogativi, inquieti e inquietanti accentuati dalla loro gestualità marcata. Osservando il san Girolamo, sono evidenti delle caratteristiche che si ripresenteranno in opere future, come l’espressività esasperata del viso quasi disperata. L’accentuazione delle ombre sotto gli occhi, così poco naturale: in Gesù è dovuta al riemergere di un pentimento, corretto, probabilmente quando furono modificati i Santi, osservando con accuratezza il volto del Bambino sono visibili ben 4 occhi.
All’apparenza queste caratteristiche possono sembrare inquietati, ma non si può rimanere indifferenti di fronte a questi corpi spigolosi ed allungati, i volti raggiungono espressioni quasi grottesche, ma tutto questo è mitigato dalla dolcezza dei piccoli angeli e dalla grande ricchezza cromatica di colori brillanti e cangianti.
Una commissione questa che non andò a buon fine: quest’opera è oggi una delle più importanti dell’arte fiorentina del Cinquecento.
Il Buonafede arguto mecenate questa volta non fu all’altezza di comprendere l’opera che per lui fu eseguita.