Una storia avvincente quella che riguarda il Palazzo Ducale di Urbino. Fino al 1975 era considerato inespugnabile, era un luogo sicuro per l’arte, nonostante non possedesse alcun sistema elettronico di sorveglianza.
Una notte, quella fra il 5 e il 6 febbraio 1975, avvenne un episodio imprevedibile. L’aria era gelida e la nebbia avvolgeva Urbino, la dimora di Federico da Montefeltro era ricoperta da impalcature – causa dei lavori di ammodernamento – la mancanza di un sistema di allarme, elementi che hanno favorito quello che viene ribattezzato come il Furto del Secolo. Vennero trafugate tre tra le opere più prestigiose della Galleria Nazionale delle Marche: La Muta di Raffaello, La Madonna di Senigallia e La Flagellazione di Piero della Francesca.
Una ruberia che scosse l’Italia intera e non solo.
Come avvenne il furto delle Opere d’Arte?
Il Palazzo Ducale di Urbino era sprovvisto di telecamere e di qualsivoglia sistema d’allarme, per non dimenticare che di notte l’energia elettrica viene staccata (i motivi non sono chiari).
I custodi percorrono i corridoi e le stanze del museo all’incirca ogni due ore, sono dotati di torce, e i fasci di luci sono visibilissimi all’esterno.
È stato un gioco da ragazzi per i malviventi: è stato sufficiente un semplice appostamento per capire le tempistiche del giro. Ancor meno impegno è stato necessario per scalare l’impalcatura, oltrepassare il giardino ed accedere alla sala in cui erano conservate le preziose opere.
Come andarono le Indagini?
Prima di dare inizio alle indagini, le autorità rivolgono un accorato appello ai ladri, quasi implorandoli di maneggiare con cura le preziosissime e fragilissime opere: evitare di toccarli con mani e se possibile avvolgerli in panni di velluto. Lo stesso tipo di tessuto, che a distanza di poche ore, una ragazza, per assecondare la richiesta del fidanzato, acquista in grandi quantità al mercato di Pesaro. La ragazza rimane turbata da questa insolita richiesta, che insospettita racconta alla madre l’accaduto.
Le due donne decidono di parlare dell’accaduto con un amico di famiglia, un carabiniere in pensione: non ci mette molto a fare due più due e dà l’imbeccata giusta ai vecchi colleghi. Le forze dell’ordine si mettono sulle tracce di Elio Pazzaglia.
Il colpo era opera di un falegname di Pesaro, non di una banda di professionisti, intenzionato a rivendere il bottino.
Pazzaglia ha tralasciato qualche piccolo particolare: i capolavori nascosti nella sua abitazione sono troppo noti e sulla bocca di tutti, nessun collezionista con un po’ di senno si è mostrato intenzionato ad acquistarli.
Dove sono le tre Opere Rubate?
I tre dipinti rubati sono già oltre il confine svizzero, a causa dell’impossibilità di ricavarne un guadagno, stanno per essere distrutti per sempre dai complici del falegname.
Maurizio Balena, antiquario di Rimini, pedina fondamentale, contatta i delinquenti e prospetta loro l’esistenza di un possibile acquirente.
I malviventi fiutano l’inganno. Il piano sembra destinato a fallire. Ma, l’antiquario gioca bene le sue carte, e confida loro che dietro l’acquisto ci sono sì i carabinieri, ma non sono intenzionati all’arresto, vogliono salvare l’onore e riavere i tre capolavori ad ogni costo, pagando un riscatto se necessario.
È divenuta una situazione ingestibile, la refurtiva è ormai divenuta una patata bollente di cui sollevarsi il prima possibile. Presi dalla smania di liberarsi dei dipinti, i malviventi cadono nella trappola.
Il 29 marzo delle stesso anno, una folla festante accoglie i tre dipinti che riprendono il loro posto all’interno del Palazzo Ducale di Urbino.