A 500 anni dalla morte di Raffaello e in concomitanza con le sue celebrazioni è in atto un progetto molto importante «Studio, restauro e valorizzazione del Putto reggifestone dell’Accademia Nazionale di San Luca». Restauro che ha preso avvio il 7 gennaio, che vede come protagonista l’opera attribuita all’artista urbinate, sponsorizzato da Mecenati Galleria Borghese-Roman Heritage Onlus.
Un progetto che coinvolge un’equipe interdisciplinare costituita da Silvia Ginzburg per lo studio e le ricerche storico artistiche, Paolo Violini a capo del restauro e Claudio Falcucci ad eseguire le indagini diagnostiche. Un’operazione complessa, ma che senza dubbio porterà a delle risposte.
Una storia ricca di fascino e mistero, che lascia non pochi dubbi sulla sua veridicità. Il Putto reggifestone, uno stacco a massello: appartenne alla collezione dell’artista neoclassico Jean-Baptiste Wicar. Documentato per la prima volta nel 1829, ed entrò a far parte della collezione dell’Accademia di San Luca nel 1834 per lascito del pittore e collezionista francese. Proviene, con ogni probabilità da Bologna, come racconta Quatremère de Quincy nel 1829, ma prima di questo momento non vi è alcuna traccia del putto.
Il restauro del 1959
Nel restauro del 1959, Pico Cellini, trovò una relazione con un passo delle Vite del Vasari: il putto sarebbe quel che rimane della prima versione dell’affresco raffigurante Isaia realizzato per la Chiesa di Sant’ Agostino da Raffaello, infatti dopo aver visto, in compagnia di Bramante, la Cappella Sistina, decise di rifare ex novo la raffigurazione del profeta, con due putti vivi e dal colore rosaceo. I pareri sono discordanti, infatti nello stesso anno lo storico dell’arte Luigi Salerno ventilò l’ipotesi che il putto potesse invece essere una copia dipinta dello stesso Wicar.
Il primo a documentare lo stacco fu Pungileoni, il quale descrive una provenienza falsa. Descrisse il putto in questione, a quel tempo nella collezione di Jean Baptiste Wicar, dicendo che esso proveniva da un caminetto già esistente nell’appartamento di Innocenzo VIII in Vaticano.
L’affresco rappresentava due putti che reggevano lo stemma di Giulio II e che, quando vennero eseguiti i lavori di ampliamento del Museo Vaticano, sarebbero stati staccati e alienati: uno sarebbe pervenuto nelle mani del Wicar, l’altro invece inviato in Inghilterra. A sfatare la leggenda sta il fatto che i putti reggistemma di Giulio II esistono ancora e sono sono conservati in Vaticano.
Le ipotesi, Raffaello o un falso?
Le ipotesi plausibili non possono essere che due: un originale eseguito da Raffaello con lo stesso cartone usato per il putto in S. Agostino; oppure una copia più tarda o un falso.
Le risposte di questa avvincente storia le sapremo a conclusione dei lavori, speriamo senza più dubbi e incertezze, ma a mio avviso con poche speranze.